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Immagine del redattoreGregorat Paolo

Calcio e neuroscienza: come funziona il cervello di un calciatore

Aggiornamento: 31 ott 2018


Lo scrittore Sandro Modeo nel suo libro “L’alieno Mourinho” mette in evidenza come proprio lo special one abbia realmente applicato al calcio gli studi effettuati sulle neuroscienze da Antonio Damiaso ed altri autori. Josè Mourinho arriva alle neuroscienze con un iter semplice. Reinterpreta con spirito critico tutti i testi da lui studiati durante il corso di scienze motorie e sportive concependo l’atleta come “unità biopsichica”. Ossia sconfessa la separatezza tra la fisiologia e la dimensione mentale. Emozioni e decisioni nel cervello sono componenti assolutamente associate e interdipendenti. I processi decisionali poggiano su opzioni affettivo-emotive.

Tutto ciò porta alla considerazione fondamentale dell’uomo come unità funzionale, in cui non vi è alcuna scissione tra mente e corpo allenando dunque le componenti tecnico-tattico-psico-fisiche simultaneamente.


Come è possibile applicare questi studi nel calcio? La premessa generale è che gli allenamenti devono essere strette simulazioni della partita fin dalla durata mimetica di circa 90’. Tutto deve essere organizzato nel rispetto degli stimoli organici-cinestetici-mentali che si trovano all’interno della partita. Vengono così sconfessate preparazioni atletiche, carichi di lavoro, sedute in palestra, test fisici, calcolo VO2max, individualizzazioni delle sedute. Al contrario saranno proposte esercitazioni in cui saranno contenuti situazioni motorie-meccaniche e percettivo-cinestetiche come sequenze di corse, arresti, salti, cambi di direzione tutto con la palla con lo scopo di riprodurre situazioni di partita in cui il calciatore sarà costretto ad utilizzare notevole intensità.

Anche dal punto di vista tattico Mourinho sostiene che bisogna partire dalla considerazione dell’atleta neuronale, visto nel suo complesso. Il portoghese insiste molto sull’introiezione gerarchizzata dei principi di gioco (es allargarsi in possesso e stringersi in non possesso, dove e quando pressare, come effettuare le transizioni) piuttosto che alla ripetizione meccanica di schemi (il cosiddetto gioco ad ombra). Ciò assicura versatilità nelle decisioni, con il calciatore che impara naturalmente la capacità di adattarsi durante una partita. Le esercitazioni sono infatti mai uguali e spesso modificate in tempi e spazi proprio per garantire questo adattamento. La scoperta guidata e la libera esplorazione sono cardini di questo metodo.

Il calciatore come unità funzionale

Il principio filosofico del 1600 cartesiano ossia “il dualismo mente-corpo” è ancora oggi un caposaldo su cui si basano molte ricerche e confronti. L’uomo deve essere inteso come unità psicofisica. E’ il presupposto fondamentale. Furono proprio Pavlov e Zimkin, all’inizio del 1900, a spargere il concetto della ricerca dello “stato di forma” nello sport. Sostenevano che per incrementare il rendimento degli atleti l’allenamento deve essere articolato in esercitazioni tecnico-tattico ed esercitazioni fisiche, in scompartimenti separati. In particolare questi ultimi prevedevano grande dispendio fisico intervallato da paure di recupero energie. Attraverso la ripetizione ossessiva e mnemonica si ottengono i risultati.

Il “futuro” è preparato da 3 studiosi:

  • Lo studioso Bernsteijn sostiene invece che non vi è alcuna relazione funzionale diretta tra gli impulsi celebrali e gli effetti motori, che dipendono da strutture differenziate e collegate in parallelo.

  • Lo studioso Rizzolatti effettua una grande scoperta: l’esistenza dei neuroni specchio. Grazie ad essi ed al loro “allenamento” i calciatori riescono a prevedere le situazioni posizionandosi sempre al posto giusto al momento giusto. Il presupposto da cui partire è che il calciatore impara dall’errore e dalla corretta interpretazione dello stesso.

  • Lo studioso Noè teorizza l’esternalismo ossia che il movimento dipende da qualcosa di esterno al snc, dall’ambiente.

Questi studi dimostrano un principio oggi conosciuto, ma da pochi realmente applicato: bisogna proporre esercitazioni integrate, non distinte. Le componenti tecnico-tattiche-psico-fisiche devono essere integrate in una esercitazione, e l’allenatore in tal modo prediligerà l’integrazione degli stimoli e non il loro assemblamento.

E’ necessario sottolineare che oggi allenare la forza o la resistenza senza un ambito di una gestualità tecnico-tattica mirata vuol dire non studiare e non essere al passo con i tempi. Ciò perché i principi di neurofisiologia non sono approfonditi. La neurofisiologia sostiene che un allenamento debba avere una fase operativa che comprende specificità (intesa come movimenti che hanno lo stesso scopo, non come movimenti che l’atleta realizza durante la partita) e ripetitivi (ripetizioni cicliche e variabili).

Dal punto di vista neurofisiologico ogni volta che accade qualcosa nell’ambiente circostante il cervello agisce così:

  1. il cervello motorio ne è informato dopo 50ms

  2. la risposta motoria inconsapevole si verifica in 150ms

  3. il calciatore diventa consapevole dopo 350ms

  4. il calciatore è in grado di ragionare dopo 650ms.

Noi crediamo di pensare ed eseguire contemporaneamente, ma non è così. E’ il cervello che fa in modo che questa nostra credenza abbia motivo di esistere. Il lavoro dell’allenatore è di ridurre i 150ms di apprendimento inconsapevole solo attraverso le esperienze diverse che il calciatore vive durante le esercitazioni.

La maggior parte dei tecnici nella loro concezione tradizionalistica concepiscono il corpo di un atleta come una macchina i cui compartimenti fisiologici (chiamati serbatoi) devono essere riempiti. Ciò avviene in maniera orripilante soprattutto durante i ritiri pre-campionato nei quali i calciatori vengono “riempiti” di materiale aerobico, lattacido ed alattacido. Questo con lo scopo di riuscire a garantire una “forma fisica” per un certo periodo, salvo poi ricaricarla con i cosiddetti “richiami” della preparazione quando essa sta scemando. Niente di più sbagliato! Il ritiro pre-campionato è da intendersi invece come periodo che predispone i calciatori a sostenere solamente la quantità e la densità degli stimoli tecnico-tattico-psico-fisici cui durante la stagione saranno sottoposti.

Una delle scoperte più decisive e rivoluzionarie è stata compiuta da Rizzolatti, relativa alla straordinaria capacità di alcuni neuroni. I neuroni specchio.

Da quello che ci è dato sapere oggi i neuroni specchio sono specializzati nel ricevere informazioni sensoriali e nel formalizzare in maniera immediata il riconoscimento e le caratteristiche del movimento da impiegare in una circostanza. Altra capacità dei neuroni specchio è che si attivano sia quando si esegue una azione che quando la si osserva. In tal modo noi comprendiamo ciò che gli altri stanno eseguendo. Ciò può fare intuire che l’uomo apprende per imitazione. I neuroni specchio strutturano il movimento finalizzato , codificano l’organizzazione temporale dei movimenti e i tempi di scansione delle contrazioni senza far ricorso ad alcun ragionamento. Come è possibile questo? E’ possibile perché fin dalla nascita il cervello elabora un “vocabolario motorio” ossia degli atti semplici che il cervello poi è in grado automaticamente di rievocare in azioni finalizzate. Ed è da questi movimenti che un individuo si integra con l’ambiente circostante e con i suoi simili.

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